Detenzione e salute mentale: la condanna “Niort c. Italia” della Corte EDU e la crisi sistemica nella tutela delle persone psichiatriche ristrette
1. Introduzione Con sentenza del 27 marzo 2025 (Niort c.
Data:
4 Giugno 2025

1. Introduzione
Con sentenza del 27 marzo 2025 (Niort c. Italia, ric. n. 4217/2023), la Corte europea dei diritti dell’uomo, prima sezione, ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 3 CEDU, ravvisando un trattamento inumano e degradante nei confronti di un soggetto detenuto affetto da gravi disturbi psichiatrici. L’importanza della pronuncia travalica il singolo caso: essa porta alla luce il carattere strutturale delle violazioni, che si collocano all’intersezione tra diritto penitenziario, diritto alla salute e obblighi positivi gravanti sullo Stato in ambito custodiale.
2. Il caso: contesto fattuale e percorso detentivo
Il ricorrente, Simone Niort, versava da anni in condizioni cliniche psichiatriche gravemente compromesse, largamente documentate anche da perizie disposte in sede giudiziaria. Nonostante ciò, è stato sottoposto a detenzione ordinaria in ambienti del tutto inadeguati, oggetto di continui trasferimenti, privo di un piano terapeutico strutturato, con interventi medicalizzati gestiti in regime di urgenza e senza continuità terapeutica.
A fronte di reiterate segnalazioni circa l’incompatibilità della detenzione con il suo stato di salute, né l’amministrazione penitenziaria né il giudice di sorveglianza hanno adottato provvedimenti effettivi volti a garantirne la cura, né tantomeno a disporre misure alternative o ricoveri presso strutture sanitarie appropriate.
3. La qualificazione giuridica del trattamento ex art. 3 CEDU
Nel valutare la doglianza del ricorrente, la Corte di Strasburgo ha ritenuto che le condizioni di detenzione abbiano integrato una violazione dell’art. 3 CEDU, configurando un trattamento inumano e degradante.
La decisione si innesta su due direttrici interpretative ormai stabilmente accolte nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo:
- Il principio di equivalenza delle cure: le persone ristrette devono poter accedere a trattamenti sanitari di livello analogo a quelli disponibili in libertà (CEDU, Wenner c. Germania,n. 62303/13; Rooman c. Belgio, n. 18052/11).
- L’obbligo positivo di protezione: l’art. 3 non impone solo un divieto passivo di infliggere maltrattamenti, ma obbliga lo Stato a predisporre condizioni compatibili con la dignità umana, specialmente nei confronti di soggetti vulnerabili (CEDU, Murray c. Olanda, n. 10511/10).
Nel caso Niort, la Corte ha rilevato non solo un deficit materiale (carenza di strutture e personale specializzato), ma soprattutto un’omissione giuridica strutturale: lo Stato ha mantenuto il soggetto in una condizione incompatibile, senza adottare misure idonee ad assicurare la presa in carico terapeutica, trasformando la custodia penale in una forma di abbandono istituzionalizzato.
4. L’inerzia del giudice di sorveglianza: una responsabilità giurisdizionale
Un profilo particolarmente rilevante della sentenza riguarda la stigmatizzazione del comportamento omissivo del giudice di sorveglianza. Pur avendo accertato l’inadeguatezza della detenzione rispetto alle condizioni cliniche del ricorrente, l’autorità giudiziaria non ha adottato alcuna misura concretamente alternativa, limitandosi a sollecitazioni prive di effetti.
La Corte EDU mette in luce così una crisi di effettività della tutela giurisdizionale nel contesto penitenziario, ribadendo che l’indipendenza della magistratura di sorveglianza impone una vigilanza attiva, e non una mera ratifica della situazione di fatto determinata dall’amministrazione.
5. Una crisi strutturale: REMS, misure alternative e il post-OPG
La sentenza in commento non costituisce un caso isolato. Essa si inserisce in una crisi sistemica emersa con forza dopo la chiusura degli OPG (d.l. 52/2014, conv. l. 81/2014). Le REMS, istituite per accogliere gli autori di reato non imputabili o socialmente pericolosi affetti da patologie psichiatriche, si sono rivelate numericamente inadeguate rispetto alla domanda reale. In parallelo, i soggetti affetti da disturbi mentali che scontano una pena detentiva non possono accedere a percorsi terapeutici adeguati all’interno delle strutture carcerarie.
Secondo le più recenti Relazioni del Garante nazionale dei detenuti, si registra un preoccupante incremento del numero di soggetti psichiatrici ristretti in istituti ordinari, in violazione dei principi costituzionali di umanità della pena (art. 27, co. 3, Cost.) e di tutela del diritto alla salute (art. 32 Cost.).
6. Considerazioni conclusive: la crisi della funzione rieducativa
La pronuncia Niort c. Italia, quindi, impone una riflessione sulla reale capacità del sistema penitenziario italiano di garantire la funzione rieducativa della pena. In presenza di soggetti con patologie psichiatriche, l’esecuzione penale si trasforma spesso in una misura puramente contenitiva, non riabilitativa, contraria ai canoni della dignità umana e in contrasto con gli standard europei.
Sarebbe, dunque, auspicabile una riforma organica che coinvolga magistratura, sanità, amministrazione penitenziaria e potere legislativo, affinché i soggetti vulnerabili non siano abbandonati in un limbo punitivo privo di finalità, né giuridiche né terapeutiche.
– Graziano Giuseppe Arancio, Avvocato del Foro di Gela